
Da dove arriva la forza propulsiva del miglioramento?
Primo giorno di un nuovo cantiere kaizen, l’area trasmette senso di abbandono – dai piccoli segnali come le cartacce per terra fino all’incuria nella manutenzione dei computer e delle scrivanie. A peggiorare l’impressione rimangono alle pareti vecchie valutazioni 5S, visible planning e indicatori non aggiornati, segni evidenti di una trasformazione iniziata e poi fermata.
Guardo le persone coinvolte: tanti malumori, scarso interesse e disillusione sul valore dell’attività in corso.
Guardo la responsabile: tensione, chiamate continue per risolvere piccole e grandi urgenze, troppi appuntamenti in agenda e troppe persone che la cercano costantemente.
Provo a sentire la sua opinione: “Ciao Carla, come va l’ufficio?” “Non me ne parlare! Ormai ognuno lavora a testa bassa sul suo pc e quando ci si confronta su un problema nascono solo polemiche, non ne posso più dei miei collaboratori!”.
I momenti di gruppo successivi trasmettono più o meno lo stesso clima: idee che nascono e vengono cassate, ricordi di “ci abbiamo già provato e non è servito a niente”, Carla che spinge solo le sue idee senza ascoltare.
Situazioni come questa purtroppo si vedono spesso e, se i vertici sentono la necessità di far ripartire il processo di miglioramento, non è affatto semplice trasferirla fattivamente a tutte le persone.
Comunicare chiaramente la strategia è un passo fondamentale … ma è solo il primo!
Tanti grandi proclami, ma che rimangono tali, sono destinati nel tempo a sbiadire e deteriorarsi, proprio come emerge dalla situazione descritta in apertura.
Proviamo invece a farli seguire anche da un solo piccolo obiettivo (uno alla volta!), tradotto però in azione: c’è bisogno di qualcosa che entri nella quotidianità del lavoro di molti, per generare reale cambiamento sostenibile nel tempo.
I punti di entrata più facili da immaginare sono due: operatori e capi intermedi.
Cambiare il comportamento degli operatori: si può fare!
Nelle aziende che visitiamo, si vedono sempre poco applicati i metodi di raccolta dei suggerimenti. Se è vero che in Toyota si parla di più di 100 suggerimenti per persona all’anno, è difficile trovare un’azienda che riesca ad avvicinarsi anche all’ordine di grandezza inferiore.
È un sistema complesso, che va progettato con attenzione e messo in pratica comprendendo a pieno l’investimento necessario di risorse, ma è una vera miniera di opportunità.
Chi l’ha introdotto, pensiamo ad esempio a due nostri Clienti – DeAngeli Prodotti con il progetto “IDEAngeli”, e Necsi con l’introduzione della “NecsIdea” – vi ha sicuramente dedicato tempo e risorse, ma sta già raccogliendo ottimi frutti con l’implementazione rapida di alcune brillanti idee, in grado di portare beneficio immediato all’azienda.
Del resto, la letteratura Lean ha da tempo aggiunto ai famosi 7 MUDA di Taiichi Ohno, un ottavo drammatico spreco, legato al mancato utilizzo delle competenze e della creatività delle persone. Ve lo siete mai chiesti, quanto questo spreco è presente nella vostra organizzazione? E come potreste passare da livello 1 a 2, a 3?
E i “capi”?
Da un’altra azienda un altro esempio:
“Con Giancarlo (caporeparto) proprio non ci siamo: pensa solo alla produzione per i clienti, i reparti interni forniti da lui sono senza componenti e le macchine non vengono manutenzionate. In più, dai suoi ho sentito più di qualche lamentela – speriamo non se ne vada nessuno.”
Attraverso il capo passano verso il basso la strategia, e verso l’alto la creatività e le aspirazioni di tutti i suoi collaboratori: ma allora come mai in molte aziende i capi intermedi non riescono neppure a seguire le attività ordinarie?
Per quanto sia bravo, ogni volta che un capo arriva a saturare la sua giornata con l’operatività, smette di pensare al futuro e quindi si concentrerà sui risultati a breve e sul firefighting: il miglioramento è destinato a fermarsi molto presto (il sovraccarico MURI genera variabilità MURA, e quindi mancato rispetto degli standard, che a loro volta generano MUDA sprechi).
Generalizzare è sicuramente sbagliato, ma la categoria dei capi soffre spesso anche di un altro problema ben definito nel cosiddetto Principio di Peter, ossia “in una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza”.
Proviamo soltanto a pensare a come viene fatto crescere un capo. Ci sono sicuramente diverse strade: le più comuni sono la crescita da operatore a capo per meriti (di produttività, affidabilità, qualità, ecc) o per anzianità, oppure l’inserimento dall’esterno per competenze superiori (ad esempio maggiore formazione).
Qualunque sia il percorso, quasi sempre è privo di una formazione specifica e di una definizione degli obiettivi attesi; se questo è scarsamente tollerabile per un operatore, è inconcepibile per un capo!
Per fortuna alcuni nostri clienti se ne sono accorti e assieme a noi stanno mettendo rimedio.
Per saperne di più, puoi sfogliare The Lean Practitioner’s Field Book: Proven, Practical, Profitable and Powerful Techniques for Making Lean Really Work – Protzman, Whiton, Kerpchar, Lewandowski, Stenberg, Grounds; CRC Press, 05 apr 2016

Sull’autore Pietro Antolini
Partner GMA Consulting, appassionato del miglioramento continuo nello sport, nel lavoro e su me stesso. Affascinato dai modelli evolutivi naturali, umani ed organizzativi.